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Marco
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Mercoledì 10 maggio 2006
ARPAT news
RIFIUTI - SALUTE
INCENERITORI E
NANOPATOLOGIE


di Stefano Montanari

“Ormai non esiste più alcun dubbio a livello scientifico: le micro - e nanoparticelle, comunque prodotte, una volta che siano riuscite a penetrare nell’organismo innescano tutta una serie di reazioni che possono tramutarsi in malattie.
Le nanopatologie, appunto. Se è vero che le manifestazioni patologiche più comuni sono forme tumorali, è altrettanto vero che malformazioni fetali, malattie infiammatorie, allergiche e perfino neurologiche sono tutt’altro che rare. A prova di questo, basta osservare ciò che accade ai reduci, militari o civili che siano, delle guerre del Golfo o dei Balcani o a chi sia scampato al crollo delle Torri Gemelle di New York e di quel crollo ha inalato le polveri. “Comunque prodotte”, ho scritto sopra a proposito di queste particelle che sono inorganiche, non biodegradabili e non biocompatibili. E l’ultimo aggettivo è sinonimo di patogenico. Il fatto, poi, che siano anche non biodegradabili, vale a dire che l’organismo non possieda meccanismi per trasformarle in qualcosa di eliminabile, rende l’innesco per la malattia “eterno”, dove l’aggettivo eterno va inteso secondo la durata della vita umana.


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Le particelle di cui si è detto hanno dimensioni piccolissime, da qualche centesimo di millimetro fino a pochi milionesimi di millimetro, e più queste sono piccole, più la loro capacità di penetrare intimamente nei tessuti è spiccata; tanto spiccata da riuscire perfino, in alcune circostanze e al di sotto di dimensioni inferiori al micron (un millesimo di m millimetro), a penetrare nel nucleo delle cellule senza ledere la membrana che le avvolge. Come questo accada sarà il tema di un incipiente progetto di ricerca europeo che vedrà coinvolto come coordinatore il nostro gruppo. Se è vero che la natura è una produttrice di queste polveri, e i vulcani ne sono un esempio, è pure vero che le polveri di origine naturale costituiscono una frazione minoritaria del totale che oggi si trova sia in atmosfera (atmosfera significa ciò che respiriamo) sia depositato al suolo, ed è pure vero che la loro granulometria media è, tutto sommato, relativamente grossolana.
È l’uomo il grande produttore di particolato, soprattutto quello più fine. Questo perché la tecnologia moderna è riuscita ad ottenere a buon mercato temperature molto elevate a cui eseguire le più svariate operazioni, e, in linea generale e a parità di materiale bruciato, più elevata è la temperatura alla quale un processo di combustione avviene, minore è la dimensione delle particelle che ne derivano.
A questo proposito, occorre anche tenere conto del fatto che ogni processo di combustione, nessuno escluso, produce particolato, sia esso primario o secondario.
Per particolato primario s’intende quello che nasce direttamente nel crogiolo, per secondario, invece, quello che origina dalla reazione tra i gas esalati dalla combustione (tra gli altri, ossidi di azoto e di zolfo) e la luce, il vapor d’acqua e i composti principalmente organici che si trovano in atmosfera.

..............................
omissis .................
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Tralascio qui del tutto il problema economico perché non rientra nell’argomento specifico, ma il bilancio energetico è fallimentare e, se non ci fossero le tasse dei cittadini a sostenere questa forma di trattamento dei rifiuti, a nessuno verrebbe mai l’idea di costruire impianti così irrazionali. Rimandando per un trattamento esaustivo dell’argomento ai numerosi testi che lo descrivono compiutamente, compresi i siti Internet dell’ARPA e di varie AUSL, la conclusione che qualunque scienziato non può che trarre è che incenerire i rifiuti è una pratica che non si regge su alcun razionale. Ma, al di là della scienza, il sensus communis del buon padre di famiglia che per i Romani era legge può costituire un’ottima guida. Usare i cosiddetti “termovalorizzatori” spacciandoli per un miglioramento tecnico, poi, non fa che peggiorare la situazione dal punto di vista del nanopatologo, ricorrendo questi a temperature più elevate. Perciò, una pratica simile non può essere in alcun modo presa in considerazione come alternativa per la soluzione del problema legato allo smaltimento dei rifiuti, se non altro perché i rifiuti non vengono affatto smaltiti ma raddoppiati come massa e resi incomparabilmente più nocivi.”

Stefano Montanari

Le immagini sono tratte dai testi di Stefano
Montanari:
• NANOPATHOLOGY AND
NANOSAFETY
• CHE COSA SONO LE
NANOPATOLOGIE?


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L’INCENERIMENTO DEI RIFIUTI URBANI
È UNA SOLUZIONE INSOSTENIBILE NEL
VENTUNESIMO SECOLO

di Dott. Paul Connett - Professore di Chimica St. Lawrence
University, Canton, New York

Dal 1985 negli Stati Uniti più di 300 inceneritori di rifiuti urbani sono stati chiusi o bloccati. In quell’anno, la California aveva pianificato la costruzione di 35 impianti, di cui solo 3 sono stati costruiti. Sempre nel 1985, il New Jersey aveva progettato la costruzione di 22 inceneritori, ma ne sono stati costruiti solo 5; un sesto impianto previsto per la contea di Mercer è stato bloccato dopo molti anni di proteste, nel novembre 1996.
Dal 1994, è maggiore il numero degli impianti che sono stati dismessi di quelli che
sono stati attivati.
L’incenerimento non è una soluzione appropriata per lo smaltimento dei rifiuti nel XXI secolo.

Gli impianti sono spaventosamente costosi, e sono molto pochi i posti creati da questo investimento economico così imponente. D’altra parte, se la comunità rivolgesse i suoi sforzi nella direzione della raccolta differenziata, del riuso, del riciclo e del compostaggio, un gran numero di posti di lavoro verrebbero creati sia per gestire il processo di gestione dei rifiuti che nelle industrie manifatturiere che
riusano il materiale recuperato. Fortunatamente, le preoccupazioni della collettività sulle sostanze inquinanti rilasciate e su quelle che restano nei residui, così come sugli enormi costi economici del processo di incenerimento, quando vengono resi visibili, hanno ritardato moltissimo la costruzione di questi impianti. Se si evita di usare l’accattivante, ma ingannevole etichetta “energia da rifiuti”, risulta chiaro che questi impianti non vanno verso un futuro in cui la sostenibilità diventerà un fattore chiave per la sopravvivenza.
Dal mio punto di vista, quando si costruisce un inceneritore presso una comunità, si rende pubblico al mondo che non si è abbastanza intelligenti, sia politicamente che tecnicamente, da recuperare le proprie risorse scartate in modo responsabile verso la propria comunità locale e le generazioni future.
In altre parole, non è ragionevolmente possibile considerare l’incenerimento una cosa normale quando il pianeta non può essere in grado di sostenerlo. L’incenerimento non è una pratica sostenibile. Non ha senso spendere enormi quantità di denaro per distruggere risorse quando potremmo usarle in futuro.
Il processo di incenerimento sposta l’attenzione sulla parte sbagliata del problema.

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