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> ADELCHI: CORO ATTO TERZO - A. MANZONI
 
MatteoAdmin
Inviato il: Sabato, 12-Apr-2008, 02:00
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Alessandro Manzoni

ADELCHI

ATTO TERZO

SCENA NONA

CORO
Dagli atrii muscosi, dai Fori cadenti,
Dai boschi, dall'arse fucine stridenti,
Dai solchi bagnati di servo sudor
Un volgo disperso repente si desta;
Intende l'orecchio, solleva la testa
Percosso da novo crescente romor.


Un volgo disperso all’udire un rumore insolito che aumenta continuamente di intensità, esce all’improvviso dagli atrii dei vecchi palazzi coperti di muschio, dalle piazze cadenti (perché lasciate andare in rovina), dai boschi, dalle officine e dai campi bagnati dal sudore dei contadini divenuti servi (dei Longobardi).

Il volgo disperso sono gli italiani ridotti in schiavitù dai dominatori longobardi; una massa di persone anonime, stanca, umiliata dalla condizione in cui si trova e divisa fra i vari signori, cioè dispersa.

La scena di grande effetto si svolge fra i “fori cadenti”, cioè luoghi in rovina, abbandonati all’incuria di chi non ha più voglia di mantenere bello e pulito il luogo in cui vive; negli androni delle case talmente trascurati da avere il muschio sulle pareti; nei boschi, nei campi bagnati dal sudore di persone ridotte in condizione servile.

L’inizio del coro si presenta ricco di movimento con questa folla di gente di tutti ceti che si risveglia dopo un lungo periodo di schiavitù.

Senti i suoni aspri e sibilanti della lettera s che ha la funzione di far risaltare l’idea del ferro rovente quando viene buttato nell’acqua



Dai guardi dubbiosi, dai pavidi volti,
Qual raggio di sole da nuvoli folti,
Traluce de' padri la fiera virtù:
Ne' guardi, ne' volti confuso ed incerto
Si mesce e discorda lo spregio sofferto
Col misero orgoglio d'un tempo che fu.

S'aduna voglioso, si sperde tremante,
Per torti sentieri, con passo vagante,
Fra tema e desire, s'avanza e ristà;
E adocchia e rimira scorata e confusa
De' crudi signori la turba diffusa
Che fugge dai brandi, che sosta non ha.

Ansanti li vede, quai trepide fere,
Irsuti per tema le fulve criniere,
Le note latebre del covo cercar;
E quivi, deposta l'usata minaccia,
Le donne superbe, con pallida faccia,
I figli pensosi pensose guatar.

E sopra i fuggenti, con avido brando,
Quai cani disciolti, correndo frugando,
Da ritta, da manca, guerrieri venir:
Li vede, e rapito d'ignoto contento,
Con l'agile speme precorre l'evento
E sogna la fine del duro servir.

Udite! Quei forti che tengono il campo,
Che ai vostri tiranni precludon lo scampo,
Son giunti da lunge, per aspri sentier:
Sospeser le gioie dei prandi festosi
Assursero in fretta dai blandi riposi,
Chiamati repente da squillo guerrier.

Lasciar nelle sale del tetto natio
Le donne accorate, tornanti all'addio,
A preghi e consigli che il pianto troncò:
Han carca la fronte de' pesti cimieri,
Han poste le selle sui bruni corsieri,
Volaron sul ponte che cupo sonò.

A torme, di terra passarono in terra,
Cantando giulive canzoni di guerra,
Ma i dolci castelli pensando nel cor:
Per valli petrose, per balzi dirotti,
Vegliaron nell' arme le gelide notti,
Membrando i fidati colloqui d'amor.

Gli oscuri perigli di stanze incresciose,
Per greppi senz'orma le corsa affannose,
Il rigido impero, le fami durar;
Si vider le lance calate sui petti,
A canto agli scudi, rasente agli elmetti,
Udiron le frecce fischiando volar.

E il premio sperato, promesso a quei forti,
Sarebbe, o delusi, rivolger le sorti,
D'un volgo straniero por fine al dolor?
Tornate alle vostre superbe ruine,
All' opere imbelli dell'arse officine,
Ai solchi bagnati di servo sudor.

Il forte si mesce col vinto nemico,
Col novo signore rimane l'antico
L'un popolo e l'altro sul collo vi sta.
Dividono i servi, dividon gli armenti;
Si posano insieme sui campi cruenti
D'un volgo disperso che nome non ha.

FINE DELL ATTO TERZO

Per il commento di tutto il Coro:
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MatteoAdmin
Inviato il: Sabato, 12-Apr-2008, 02:02
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Quando Manzoni compose questo “coro”, Napoleone aveva già esportato dalla Francia le idee di “libertè, egalitè, fraternitè”; idee che avevano agito da supporto ideale ai movimenti rivoluzionari del Risorgimento.

Questo componimento ha un grande valore poetico, ma un altrettanto grande valore patriottico e nazionale. L’indipendenza dell’Italia non era dipendente solo dalla sconfitta dei Longobardi, ma, soprattutto, dalla virtù che non conosce sacrificio. Un’opera, dunque, che diventa simbolicamente un monito e una speranza.

L’Adelchi si svolge in tre anni (772/774). Manzoni non rispetta l’unità di tempo e di luogo come insegnato da Aristotele, perché, a suo giudizio, ciò impediva l’adesione alla realtà storica.

Nella tragedia sono presenti due “cori”, cioè due “piccoli spazi” che l’autore riserva alla voce “fuori campo” funzionali all’espressione di giudizi e all’interpretazione dei sentimenti.



Il coro è la sintesi del dramma di tre popoli: quello dei Longobardi, costretti alla fuga; quello dei Franchi vittoriosi, ma a prezzo di grandi sacrifici, fatiche e pericoli; quello degli italici, volgo disperso che si illude di poter riacquistare la libertà.

La guerra crudele con i suoi orrori e le sue scene di sangue e morte è contemplata dal poeta con la tristezza di un cristiano che accetta con rassegnazione lo scorrere lento della storia intrisa di sangue e lacrime.

Il popolo italico, accorso al rumore della battaglia, osserva pieno di ansia e speranza.

Ma è l’assurda speranza di un volgo disperso, non del popolo che discende dagli antichi romani.

Come può illudersi che quei guerrieri abbiamo lasciato le loro case, la moglie, i figli, gli agi per venire a liberarlo?

Si rassegni dunque a continuare ad essere un popolo dominato ed asservito allo straniero, che certo non butterà via la sua vita per ridare la patria perduta ad un volgo che non ha più dignità né virtù.

Questo era il messaggio che Manzoni mandava agli italiani nel 1822: il suo forte contributo al risveglio risorgimentale.


FONTE E COMMENTO COMPLETO DEL CORO:
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